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C'era una volta...
IL MARE DI CUPRA
Anni '50 / '70
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Sigismondo Taffetani (fotografie di Sigismondo Taffetani)

Mio padre
Mio padre, Sigismondo Taffetani, Dino per gli amici, nato Bologna il 9 Novembre del 1912, nonostante la famiglia vivesse già a Cupra, dove il padre, il dott. Raoul, svolgeva la cond0tta di medico chirurgo. All'età di quattro anni, a seguito di una febbre non ben diagnosticata e non ben curata, (siamo durante la Guerra Mondiale ed il padre, che a Cupra si occupava anche dell'ambulatorio dell'infanzia, si trovava al fronte come come medico) rimase sordo e data la tenera età, avendo poca pratica nell'articolazione dei suoni, ne conseguì anche la difficoltà di pronunciare bene le parole. A sei anni, per questa sua menomazione, fu mandato a studiare al Collegio Gualandi di Bologna dove rimase fino al conseguimento della licenza media. Furono anni sereni, egli era così a cuore ai suoi precettori che sedeva a tavola con loro (privilegio concesso solo a lui) mentre la domenica era coccolato dalle zie (le sorelle della mamma, di origine bolognese) che lo prendevano con loro. Sempre in quegli anni seguì per suo conto un corso di prestidigitatore: lo ricordo quando con l'abilità delle sue mani nascondeva e faceva riapparire nei posti più impensati, monete e uova fresche, dilettando tante mie feste di compleanno o raduni di miei cugini. Tornato a Cupra, dopo gli studi a Bologna, andò a bottega da Pericle Fazzini, dove imparò a incidere e scolpire il legno e a realizzare intarsi: son questi gli astucci per matite e i porta-gioielli più belli che io abbia ed ogni volta che li guardo e li esamino nei dettagli mi stupisco ancora di come fosse bravo. A venti anni, seguendo la passione del padre per la fotografia (durante la Prima Guerra Mondiale, sul Cadore, mio nonno testimoniò dei luoghi, degli avvenimenti e delle attività di campo con una serie di foto di cui ne conserviamo gli album), andò presso il più importante studio fotografico di Bergamo per imparare l’arte del fotografare. Raggiunta la maturità professionale (uni del titolare dello studio informava il dottore Raoul che il figlio non aveva più niente da imparare), tornò a Cupra dove iniziò la propria attività di fotografo, facendo un po' di tutto: servizi matrimoniali, foto di compleanni, foto di gruppi di famiglia e foto scattate andando in giro per il paese che ritraevano persone intente nelle loro occupazioni oppure opere che ne modificavano il paesaggio. Una cosa lo connotò sempre in queste foto: l’interesse a fissare gli accadimenti, qualsiasi evento, di piccola o grande importanza, la cui memoria sarebbe stata significativa per il semplice fatto che era avvenuto, senza mai nutrire compiacimento estetico per uno scatto ben riuscito. Ricordo infatti che non era solito mostrarci le sue foto e quando ci passavano fra le mani non ci ha mai chiesto se erano belle o meno ma si discuteva su ciò che ritraevano: chi erano le persone ritratte e perché aveva fatto quel­la foto. Pur sapendo tutti in casa che era molto capace nel suo lavoro e che aveva accumulato negli anni una notevole docu­mentazione fotografica, ciò non assorbiva le nostre attenzioni e sicuramente tutto questo materiale non avrebbe avuto nessuna divulgazione se non ci fosse stato l'interesse di Vermiglio Ricci a costituire un archivio e la pazienza di Claudio Barlocci nel siste­mare e catalogare i negativi. Sigismondo Taffetani Sempre per questa sua passione ed intelligenza nel cogliere gli avvenimenti, durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre le truppe tedesche battevano in ritirata, dal terrazzo di casa propria, fissò con più scatti l'immagine della sconfitta. Scoperto, fu arre­stato e imprigionato come spia di guerra. L'arciprete di Cupra intercedette per lui presso il Comando e dopo due giorni e due notti in cui tutta la famiglia vegliò presso la pri­gione per dargli un po' di conforto, fu liberato grazie al fatto che nel rullino sequestrato vi erano all'inizio due foto di bambini a dimostrazione della sua attività di fotografo professionista e non di spia. A proposito di bambini, essi erano un'altra cosa che attirava la sua attenzione: era capace di riprenderli nelle loro pose spontanee, mai costruite o artefatte, scattando foto a loro insaputa, durante i suoi giri, così come faceva con persone più anziane intente nelle loro occupazioni. Questi scatti rubati qua e là venivano esposti poi nelle vetrina dei locali dello studio di proprietà delle sorelle Tirabassi (dove attualmente è il fotografo Spina) e, se si trattava di bambini, in genere i parenti le acquistavano quando non faceva­no più mostra di sé (felici che il paese le vedesse) mentre se erano immortalate persone più avanti di età, esse si affrettavano a chie­dere che venissero tolte il più presto possibile dalla vetrina e per questo magari le compravano. Tra il '60 ed il '70, collaborò a II Resto del Carlino, nella sezione locale, come fotoreporter insieme al fratello, il maestro Alberto, che ne scriveva i testi e che fu definito dall'allora direttore, la più bella penna dell'Adriatico. I due fratelli si curavano di fornire foto e trafiletti delle vicende che, segnalate loro da Polizia o Carabinieri, accadevano tra Porto San Giorgio e Martinsicuro. Per lo stesso giornale, mio padre ideò e curò la Rubrica "Primavere Marchigiane", un concorso in cui erano pubblicate foto di bam­bini che tramite apposito tagliando potevano essere eletti come i più belli dell'anno. Ricordo appunto che mio padre, con la sua intelligenza vivace e pratica, aveva amici che colpivano per le loro capacità, tra i quali ricordo Polidori Galdino che aveva il negozio di fronte al suo, con il quale si intratteneva, sulle scale della Chiesa di Sant'Egidio, in lunghe conversazioni, Angelo il macellaio, i Ciarrocchi detti Menille, noti per la loro genialità, Spina Gino, così bravo sul suo lavoro, Tripoli, persona di notevole dignità ed altri e poi i suoi amici sordomuti che riceveva tutte le domeniche pomeriggio a casa. Fu infatti per anni il presidente della sezione dei Sordomuti di Ascoli Piceno e anche quando smise l'incarico, fu sempre un grande animatore di feste, noto per la sua carica di umorismo e la sua giovialità. Tutti i Carnevali lo ricordo che partecipava alle feste mascherato, ogni anno in maniera diversa, con vestiti ideati da lui ed una serie di scherzetti: fiori che spruzzavano acqua, cap­pelli di paglia che si alzavano ed abbassavano mediante fili di nailon che divertivano chi lo incontrava e gli procuravano ogni volta una medaglia a seconda della classificazione conseguita. E proprio in una serata di festa, il 15 agosto 1977, mentre andava a comprare un'anguria da mangiare con gli amici riuniti, fu investi­to da una moto che gli procurò una lesione all'aorta per il cui intervento l'anno dopo morì a Roma.
(Donatella Taffetani)

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