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STORIA DI CUPRA MARITTIMA
A coloro che amano Cupra,
curiosi e orgogliosi del suo passato,
dedichiamo una "Storia di Cupra" a puntate.
(a cura dell'ArcheoClub)
Mensile "Cupra e la Val Menocchia" Anno VI - n°10 - Ottobre 1989
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La nuova Cupra
Cupramarittima - Stabilimento Bagni
Di tanto in tanto ci piace rivivere, attraverso le impressioni di ammiratori del nostro paese, momenti e stati d'animo di una realtà cuprense "comunque diversa" da quella attuale.
Siamo nel 1933 e nel giornale "Il telegrafo" il primo Settembre, al termine delle vacanze estive, lo scrittore Giovanni Bucci, oggi ben noto anche ai Cuprensi, pubblicava un suo articolo dal titolo
"CUPRA E IL NOVECENTO"
Eccomi qui a riposare: Napoli è lontana, non me ne lamento; era troppo bella, troppo densa dì colori, di suoni, di profumi, alitava nell'aria rovente tale soffio di passione, che mi dava la vertigine; qui sono tranquillo, posso riposare.
Le Marche sono lineari: colli, spiaggia, sul mare poche vele, ma su ogni casa il cielo, un cielo diafano, infinito, che non è mai la tela opaca, sporca di turchino, tesa al di sopra di uno scenario di vie e di monumenti tra cui l'uomo si affanna in cerca di non so quale felicità, ma è una volta vera, una coppa immensa di zaffiro librata su questo piano ondulato, metà verde, metà turchino, che posa in pace sotto il sole: qui si è veramente soli con se stessi, con la propria coscienza e con Iddio.
Gli uomini qui non fan paura: sono troppo pochi perché ci possano distrarre, turbare: anche Eva qui passa e scompare: la linea poderosa dei suoi fianchi che essa ostenta procace, la chiostra dei bei denti ch'essa scopre tre le labbra di porpora quando sorride, fermano un istante l'occhio del solitario che la vede venirgli incontro, gli accendono nella pupilla il lampo di un desiderio; ma poi Eva è passata, e il mare torna azzurro, la campagna odora, il cielo fiammeggia silenzioso nei fulgori dell'ora meridiana, e l'uomo torna a levare in alto lo sguardo, a ricongiungersi con l'infinito, in pace. Per questo mi son sempre piaciute le mìe Marche, qui dove son nato, Marche... domani forse non dovremo più dir così: mentre ad Ancona ancora si discute, Marche o Piceno? Roma parlerà e obbediremo tutti senza proteste: i marchigiani, anche sotto una corteccia un po' ostentata di scanzonati o di ribelli, hanno obbedito sempre; sono e rimangono i più fedeli e modesti e silenziosi cittadini d'Italia. Il nome è quello che conta meno, conta la cosa, là realtà; e la realtà è questa regione, bella perché è semplice, armoniosa perché il suo accordo è fatto di poche note.
Sono tant'anni che la studio e ogni anno mi torna nuova: è come il pane, come l'acqua di fonte, come il mare: ci son tutti i sapori ed è un sapore solo, tutti i colori ed è un colore solo o nessuno, tutte le forme ed è una linea sola: l'infinito: "e il naufragar m è dolce in questo mare". Leopardi si è fatto tutto qui, su questi colli in vista di questo mare: quello che poi ha visto e cantato, a Pisa come a Firenze e a Napoli, "A Silvia" e "La Ginestra", sono ritorni, riecheggiamenti di antiche emozioni, scordate per poco, poi rivissute con lo spasimo di una nostalgia disperata per quello che già fu e più non torna, la giovinezza.
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