Angelo Doneda
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... (Le parole) ... [verina]
Ho ricordato più sopra il carrettino del Moro. Questo era meta obbligata
di tutti i membri della mia famiglia. Ritornando a casa dalla spiaggia
nel pieno della calura, si compiva il rito di rinfrescarci e dissetarci
con abbondanti fette di cocomero prima di affrontare sotto il sole cocente
la salita allo sterro. Per la verità si era anche sotto osservazione
della gente che spiava il nostro passaggio da dietro le persiane. Divertiti,
ci sentivamo di fatto un po’ bestie rare. Gli altri bagnanti erano tutti
o romani o del centro‐meridione.
Ora vorrei ritornare a Verina. La rivedo ancora affaccendata nel suo
negozietto. Non parlava in italiano e usava un cuprense molto “stretto”.
Mia madre e lei erano diventate molto amiche. Si intendevano
perfettamente, anche se mia madre non era in grado di capire tutte le
parole che Verina pronunciava. Era uno spasso vederle conversare. Ricordo
anche i pranzi da lei preparati ai quali invitava la mia famiglia.
Erano una sua specialità. Spesso, poi, scompariva per organizzarli presso
le famiglie della campagna in occasione delle loro feste. Erano pantagruelici
quei pranzi: una delle regole che mi è rimasta particolarmente
impressa nella memoria era quella di prevedere per ogni commensale,
fra l’altro, tre chili di carni variamente cucinate.
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