Angelo Doneda
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... (Le parole) ... [le campane]
Il risveglio dopo la prima notte a Cupra, rinfrescata come sempre
dall’aria de lu fosse, fu al suono delle campane della parrocchiale, ricco
di decibel ma che non mi disturbava affatto. Al contrario, festoso
com’è, al mattino mi chiamava a vivere la giornata in una pace serena.
Anche la musica del martello sull’incudine del fabbro mi richiamava ad
una realtà allora già quasi scomparsa nella mia città. Musica, canto,
perché non è un rumore il suono del martello che rimbalza
sull’incudine prima di calare sul ferro reso rovente dal soffio di un
mantice a mano. Era bellissimo vedere la sfilata degli arnesi da riparare
depositati ordinatamente da Quinto Cucchiarà, sulla strada davanti
alla sua fucina. Mi ricordo in particolare i vomeri dalla punta troppo
consumata in attesa di essere rifatti e gli altri attrezzi agricoli da rimettere
in sesto. Lui lavorava nel suo antro con passione; molto bene, a
mio avviso. Mi incantava vederlo modellare il ferro reso incandescente
in una forgia nella quale l’aria la soffiava un grosso mantice a mano.
Anche il Figlio Roberto che gli successe era bravo; lo ricordo fabbricare
con perizia le belle inferriate per le finestre della casa di Nico Ciccarelli
in via Roma.
Allo sterro ricordo anche Il mugnaio, l’Acquedotto (dove adesso c’è
un’autofficina) e il magazzino dove i contadini andavano a portare il loro
grano. Ricordo anche le fonti alle quali molti attingevano l’acqua da
bere in sostituzione di quella dell’acquedotto. Una era lungo il fosso
del sant’Egidio, poco a monte dell’attuale autorimessa, l’altra era in via
Roma. In realtà si dovrebbe dire: c’è, ma è stata resa scomoda seppure
abbellita. Di fatto, gli habitué sono calati di numero.
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