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Il Castello di sant'Andrea
Indice volume

Una rotonda sul mare
Quando la "Sirenella" - che è un nome infantile, assurdo, da fiaba dolciastra o da telenovela, estraneo allo stile di Cupra - si chiamava "Stabilimento Bagni" - che è un nome importante, reale, e soprattutto corrispondente alla sua vera funzione, divenuto poi "storico" - non c'ero nemmeno io e la mia generazione; era datato dal 1910. Poi l'insieme del castello con le due torri, che costituiva il vecchio Stabilimento, fu ridimensionato, quasi dimezzato, intorno alla seconda guerra mondiale, e solo in un secondo tempo cambiò di nome.

Di questo periodo, agli inizi degli anni Cinquanta, ho i ricordi più netti e più belli, quando eravamo nel pieno fulgore degli anni giovani, irripetibili, frutto dell'ultimo dopoguerra, con una vitalità di piena "giovinezza"; scusate la parola, ancora di suono fascista, ma era rimasta attaccata alle labbra dal passato Ventennio. La storia di quegli anni "beati" si svolge soprattutto, oltre alla grande sala interna della costruzione, sulla spianata di cemento che lo Stabilimento aveva gettato dalla parte del mare; la nostra rotonda sul mare.

Ogni paese di mare importante ha avuto, negli anni, la propria rotonda; quella di Viareggio e quella di Rimini furono sicuramente le più celebrate, data l'importanza delle città e del loro turismo balneare, all'avanguardia in Italia. Anche qui a Cupra, fino dai primi del Novecento, c'era una tolda, una piattaforma di legno, una rotonda sospesa su palafitte, come si vede dalle vecchissime cartoline. E le persone andavano ad affacciarsi per un dialogo ravvicinato col mare; proprio come succedeva a Rimini, a Viareggio o in qualche raffinata località di riviera. Certo che la mutevolezza, l'oscillare delle correnti e l'infuriare delle mareggiate, hanno prima danneggiato e poi distrutto la vecchia gloriosa rotonda. Al suo posto, e in posizione più interna, per sicurezza, fu fatto un piazzale rettangolare di polito cemento che resiste, a prova di tempesta, dai primi degli anni Cinquanta. In parallelo alla costruzione del nuovo piazzale fu cambiato anche il nome a tutto il complesso.

C'è un volantino dei primi anni Cinquanta che, oltre a rappresentare un documento, un esempio di cronaca del tempo, è semplicemente "patetico" nella sua ingenuità e improvvisazione; uno specchio di tempi fatti di entusiasmo, di istinto e di quasi inesistenti mezzi economici. Il volantino, diffuso dal Circolo Cittadino di Cupra Marittima, e dunque di appartenenza al Comune, parla di una "serata del primo applauso", il giovedì nove agosto di un anno imprecisato. Il luogo della festa è lo Stabilimento Bagni Sirenella; questo significa che insieme al nuovo nome di battesimo si continuava, per tradizione, a conservare il vecchio; quello che è commovente, che è tipico dei tempi, è l'annuncio che l'orchestrina era la "famosa hot five stars" e che il cantante, sicuramente famoso, era Nando Renzi. Quello che stupisce, inoltre, è la nota manoscritta di un programma, diciamo "teatrale" della serata, a carattere goliardico, del quale io stesso ero l'organizzatore. La nota informa: I parte: coro ragazzi, chitarra hawaiana, Elettra, Rosanna (verso a Rondinella); II parte: canzone senza musica; le ragazze; risata muta; la ragazza di Cupra. Inutile dire che tutti i titoli parlano di uno "stile" incredibilmente ingenuo, di un provvisorio e di un'incredibile voglia di divertirsi; l'incoscienza serena di organizzare uno spettacolo. Era forse la vitalità del dopoguerra che ci dava tanta gioconda faciloneria.

La rotonda - quadrata - della Sirenella attraversò poi due momenti particolari, due "vite" diverse; quella di giorno, la mattina, e quella notturna, più misteriosa, magica, peccaminosa.

La vita di mare, si sa, è discreta, ovattata, ancora silenziosa nelle prime ore della mattina: bambini che giocano, mamme che parlano, uomini che leggono il giornale sotto l'ombrellone. Ma all'ora del bagno, verso le undici, scattava la molla; tutti in acqua, tutti insieme: barche, pattini, bagnanti, ciambelle di gomma, materassini, bambini e palloncini, una frittura mista nel grande padello-ne dell'Adriatico.

A quest'ora anche la spianata di cemento, recintata da un'alta rete e dal muretto a diretto contatto col mare, è animata dai clienti fissi della Sirenella, quelli che hanno per cabina una stanzetta del castello, quelli distinti, la crema, i vecchi abitua. Ma anche i giovani, i ragazzini, invadono il campo, e giocano coi biliardini e i calcio-balilla; quei giovani, soprattutto, che mettono gettoni e gettoni dentro al juke-box, l'anima della scena, il commento di tutto lo spettacolo. Nel brusio che si è fatto quasi rumore, frastuono, dalla tolda animata della nave Sirenella fino al mare aperto, oltre la secca, su tutto il formicolìo colorato e acceso di varia umanità, domina questa colonna sonora, spiegata, con l'aiuto degli altoparlanti. Erano i tempi di "Abbronzatissima", di "I Watussi", "Legata a un granello di sabbia"; l'epoca dei Vianella, di Nico Fidenco. I nudi abbronzati sono lì, nell'acqua e in poltrona, la sabbia è lì, faticosamente importata sopra gli antichi sassi; e i watussi siamo noi, sempre pronti a fare i primitivi.

Il gruppo degli eletti, intanto, continua i suoi riti, vicino al muretto che da sul mare. All'ora dell'aperitivo il cerchio si allarga. Ci sono tutti: c'è Zeno Vinci, il conte, la Giovanna di Roma, Annamaria, la moglie del chirurgo, Guido e i Bugiardini, i Tranquilli, i Ciccarelli, le famiglie diciamo "storiche" di Cupra; pensiamo alla "Pasta del Capitano" e alla "Cera di Cupra", al gran completo, con il dottor Nico che offre campioni di crema a qualche bella ragazza, tanto per massaggiarla con la scusa di "farle un servizio". Il nipote Marchetto, in coppia con l'amico Corrado, giocano al biliardino tra un bagno e l'altro, contrapposti all'altra coppia formata da me e dal figlio di Zeno, battezzati nei tornei "i sempre peggio", nome augurale e scaramantico.

> C'è come un boato. Vengono portate le cozze, due secchi pieni; quelle più grandi, prese agli scogli davanti alla villa di Zeno. Arrivano i limoni, i coltelli, i bicchieri e il vino bianco fresco, con i barattoli strani di cuori di bambù oltre alle solite mandorle salate, oltre alle classiche noccioline e patatine fritte. È Zeno che pensa alle cozze, è Giovanna che pensa alle delikatessen, o alle bevande nei bicchieri rossi e arancioni, tutte cose che vengono diritte dallo spaccio del Vaticano, del quale la stessa Giovanna, con Annamaria, erano fedeli clienti.

Il giro si allarga, le cozze si ammontano velocemente, i coltelli lavorano a dividere le valve; e l'euforia cresce, gli scherzi raddoppiano, mentre i biliardini martellano con i giocatori impazziti. E sopra gli urli di Mario, di Corrado, di Vittorio, su tutto domina l'onda sonora del "Sapore di sale", l'ultima novità di Paoli, che dilaga dovunque, sulla spiaggia, verso il largo, fino alle barche e ai pattini che stanno al di là degli scogli. Lo sentono forse anche dalle coste dell'Albania, dalla parte opposta dell'Adriatico.

Se c'era una vita - chiamiamola vita, ma si potrebbe definire atmosfera - o colonna sonora di mattina, la vita vera, un po' misteriosa e segreta, era quella di sera. Anche di sera il "clan" si trovava ai tavoli stabiliti, sul lato preferito; ed era quello vicino alla sala interna, opposti al mare, e il più lontano possibile dall'orchestrina. C'erano le serate normali, un po' standard, c'erano quelle goliardi-che, in costume, quasi in maschera; e quelle "speciali" come per Miss Cupra, che poteva poi partecipare a Miss Marche, e da qui a Miss Italia. Erano i tempi, cominciavano i tempi delle miss; non si era arrivati ancora all'inflazione. Le più comuni erano le serate degli studenti, come quelle dei "pirati" o degli "indiani", di un'ingenuità veramente rudimentale; c'erano i Corigliano, Gigi serioso e Popi lo smargiasso, i fratelli Doneda, detti i Pierini.

Ero ancora studente, all'inizio, non avevo un soldo e avevo inventato il titolo della serata per avere la scusa di invadere la grande terrazza dalla parte del mare, scalando il muro, così da evitare il biglietto. Ma fu un successo, tanto che Silvio, il padrone, sornione e sonnolento, non ebbe il coraggio di chiederci niente. Anzi, ci offrì da bere. Perché le feste son fatte di idee, soprattutto allora. Come "pirati" ci eravamo tutti camuffati con bende nere sull'occhio, uncini rudimentali sotto le maniche, con cui si facevano "carezze" ai fondoschiena delle ragazze, maglie a rigoni orizzontali e grandi fazzoletti annodati sulla testa. Le ragazze più belle un po' scollate, la camicetta che lasciava le spalle scoperte, dettaglio molto osé per il tempo, come nei film americani di "cappelloni". Lo stesso avvenne con gli "indiani". Un'intera giornata, e anche più, era andata per dipingere di rosso e di blu i tutoli di granturco arraffati a un campo vicino; a dipingere i turaccioli presi alla cantina. Poi bisognava infilare ancora i turaccioli come orecchini e collane; i tutoli come bracciali; con una resa di gonnellini fruscianti, luccicanti di colori laccati, che potesse far colpo.

Un bel ricordo di quella serata mi rimase attaccato per molti giorni. Il trucco me l'ero fatto con il bianco e il rosso che potevo trovare "in natura": il rosso, con l'innocuo rossetto da labbra; ma i segni più belli dovevano essere quelli bianchi, paralleli e in croce, sulle guance, sulla fronte, sulle braccia, nel petto. E quelli me li ero fatti col dentifricio, strizzato di forza, a rilievo; dei segni bellissimi, che durante le ore della notte bruciarono completamente la pelle del viso e del torace; cosicché andando a letto mi accorsi che avevo delle ustioni che guarirono soltanto col tempo, con l'aiuto del dottore e di creme speciali...

Oltre ai bracciali ai polsi e alle caviglie, a tessere un gonnellino lanceolato e rumoroso, veramente selvaggio, c'erano altre "pannocchie" che coprivano appena le vergogne, naturalmente protette dal costume da bagno. E la mamma, seduta al tavolo con le signore, si era allarmata, e andava dicendo: "Si sarà messo sotto qualcosa, quel ragazzo". Non sapeva, l'ingenua, che mi era venuta l'idea, per fortuna abortita, di fasciare l'arnese di tutoli, come un salamino, secondo l'uso dei veri selvaggi. E feci la danza, al ritmo dei tamburi, sfrenato, per buoni dieci minuti, infilandomi tra i tavoli per tentare qualche ragazza; naturalmente con la pelle dipinta di nerofumo, perché non bastava l'abbronzatura. Raccolsi infatti tra le signore, e solo tra le signore un po' stagionate, pronte a tutto, qualche complimento.

Tra queste, nei tavoli di élite, Donna Teta Tranquilli, sempre pronta per gli scherzi, le feste e le recite; Maria R, che parlava sempre dei suoi ultimi viaggi: in Grecia, a Istanbul, in Egitto. Luisa, la moglie del dottore, dal piacevole accento parmigiano e dalla risata cavallina; la ossuta Luciana, amica di tutti, dalla lingua affilata e l'umorismo pronto; Giovanna, la bella, con gli occhi come Michèle Morgan, che offriva a tutti, coinvolgeva tutti, stabiliva legami e amori per sé e per gli amici, assolutamente altruista. In estrema evidenza, zia Betty, altro formidabile personaggio, che rideva, rideva, rideva sempre, con tutti i trentadue denti finti della larga bocca carnosa, spalancata, facendo sussultare le grosse collane a cerchi concentrici, che corrispondevano quasi a pennello ai solchi profondi, circolari, sempre concentrici, i quali decoravano, come una sorta di bigiotteria, l'ampio collo sudato. E non si capiva bene se le collane erano state messe per coprire gli anelli profondi della carne abbronzata, o se le stesse collane, di pesanti sfere rotonde, avevano scavato, poco a poco solchi profondi nella morbida carne del sottogola.

Zia Betty, un nome civettuolo e un po' snob, proprio adatto ad una "signorina" matura, che non si era sposata, ma certo navigata, che aveva molto vissuto e non si era fatta sfuggire nulla, proprio nulla, delle cose piacevoli della vita. Chi più "Sirenella" di lei? Chi più "rotonda sul mare"?

Intanto, dalle finestre della sala interna, dietro i nostri tavoli, si affacciano i machi del paese: Flavio, Claudio, Piero e gli altri, che non si perdono una parola del nostro gruppo, né un bacio furtivo o una "strizzatina" fra le nostre coppie. Venivano subito i commenti, i consigli, da uomo a uomo: "Mario, perché non te la porti sulla spiaggia?" "Perché non andate nella pineta che sta fuori?" "Mario, che aspetti?". Del resto, bastava andare dentro la sala per ordinare qualcosa al bar, che te li trovavi tutti addosso con giudizi, risate, consigli, per svegliare quegli addormentati, ritardati dei "bagnanti" che, in fatto d'amore, non ci capivano niente. Della "scena" notturna della Sirenella, loro, i cuprensi, rappresentavano il loggione, il pubblico vero, severo nei giudizi; erano gli intenditori, i veri amatori, e non dilettanti come eravamo noi considerati.

L'orchestrina, sul tardi, ripeteva a richiesta "La gatta" o "II cielo in una stanza", il Paoli d'annata, "Ho scritto t'amo sulla sabbia" o "Luglio" di Del Turco; che erano le canzoni più gettonate, tutte le mattine, e ripetute alla sera dall'orchestrina.

Tra le serate particolari, quella di Miss Cupra e quella di Miss Simpatia. Per Miss Cupra tutto lo staff di amici e signore bene era stato chiamato in giurìa; c'eravamo tutti, molto divertiti, ma anche molto impegnati, professionali. Un tavolo lungo, fatto di tavoli vari, e una sfilata di belle ragazze della zona e oltre. Bastavano quindici belle ragazze impegnate e speranzose per fare di Cupra una Salsomaggiore o una Montecatini. Visi tesi, mamme tremanti, anche qui; "bellezze al bagno" spericolate e ondeggianti, rullo di tamburi e sigle musicali dell'orchestrina; il gioco è fatto. Dopo varie, faticose selezioni, dopo passi e ripassi di belle sempre con un "pezzo" di meno, venne fuori una Miss Cupra veramente notevole, per non dire ottima; pelle di latte e miele, senza trucco, fatta bene di suo, bel portamento, profilo giusto e soprattutto semplice. Nelle selezioni che seguirono, la nostra Miss arrivò a miss Marche, la prima; e per finale, a Miss Italia, come terza. Ma il padre non vole­va, e non la fece proseguire. Si chiamava Chiara; era un'autentica marchigiana.

Quella che fu spassosa e originale fu la serata di Miss Simpatia, eletta direttamente dal pubblico, a plebiscito unanime. Premetto che quello era stato l'anno dei toscani, dato che avevo trascinato un nutrito gruppo di amici dall'altra mia patria, la Toscana; persone di facile battuta, di compagnia, che avevano attaccato con tutti, come se fossero venuti a Cupra da una vita: Anna, Corrado, Elena, Maria Laura, Vittorio. Si erano guadagnati la stima anche dei locali anzi, soprattutto dei locali, sinceramente.

E fu veramente una sorpresa quando si sentì al microfono, dai nostri tavoli un poco appartati, il nome della vincitrice; era Anna, l'Annina, che tutto si aspettava fuorché di essere fatta Miss. Carina, giovane, e soprattutto piena di pepe, di spirito, con un suo ser appeal particolare, anche se non era di alta statura; era la quintessenza della simpatia. L'anonima giuria popolare l'aveva imbroccata. Annina, divertita, scattò come una molla, si presentò al tavolo del comando, ringraziò al microfono il pubblico, e fu deciso, tra gli applausi, che facesse un lungo giro d'onore, per farsi vedere, ammirare. Data la "stazza" limitata di Anna, si pensò di fare il giro issandola sopra un pattino; e il pattino fu portato a spalla da quattro machi, i più machi e forzuti di Cupra, che poi erano quelli che l'avevano votata per primi. E la statuina sorridente dell'amica, mentre l'orchestra suonava "La vie en rose" fece il giro distribuendo baci a destra e sinistra, con una mano sul mazzo di fiori e l'altra sulla bocca, come un'autentica diva del varietà, una Osiris in sedicesimo. Troppo autentica, troppo piacevole e furba al tempo stesso, troppo "fiorentina" per non fare centro.

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