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Angelo Doneda
... (Le parole) ...       [paese vecchio]
Che dire ora del paese vecchio? Vorrei confessare che rimpiango le sue stradine in cotto, la prima della quali comincia alle spalle del grottino allora dello zio di Maria, mostrando la bella, malandata finestra quattrocentesca della casa d’angolo sulla sinistra. La nostalgia mi porta anche alla casa del Cav. Galli, il nonno di Mario Bucci, non ancora divisa in due, il cui terrazzino poggiava su di un muro che scendeva dritto a valle appoggiandosi al vuoto fra grosse agavi. Rimpiango la barca di Diego allora bene in sesto, monumento privato dedicato alla pesca. Ricordo poi le mura che, seppure molto ammalorate, erano ben più consistenti di oggi. Rivedo anche le vecchie case, molte in pessimo stato, alcune ridotte a sole facciate occhiute e rivedo l’ospizio con i suoi vecchietti (vecchietti e non anziani, come si usa chiamarli oggi in modo abbastanza ipocrita, senza quel rispetto che allora si tributava loro) seduti su qualche sedia o sulla soglia della casa di fronte. La memoria va anche alla tabaccheria, unico negozio del paese alto, che vendeva un po’ di tutto, alla chiesa di san Gabriele, alla chiesa dell’Annunciata della quale si poteva ammirare solo l’esterno, alla villa Grisostomi che inglobava il palazzo dello Sforza, inaccessibile ai comuni mortali, così come lo era la cappella di S. Maria in Castello. Un ricordo particolare vorrei però dedicarlo al grottino di Maria al quale ho già fatto riferimento. Sul terrazzo antistante in parte poi distrutto da una frana, si concludevano spesso le passeggiate serali con Mario Bucci, i fratelli Corigliano, le sorelle Tirabassi e gli altri della compagnia. I maschi si permettevano un bicchiere dell’ottimo vino, fresco di cantina, che Maria ci serviva; le ragazze si dedicavano a gazzose e aranciate tenuto conto che I gelati in confezione non esistevano ancora. Una sera però le fanciulle fecero un’eccezione bevendo anche loro come noi. Senonché una amica di Silvia Tirabassi, anche lei professoressa di matematica, non abituata all’alcool, si ritrovò incapace di reggersi in piedi senza traballare pur avendo bevuto solo una parte del suo bicchiere di vino. Fu così che si mise a fare i calcoli per la costruzione di un ponte che le permettesse di calare verso la marina senza essere obbligata ad affrontare la strada del ritorno a casa. Il bello è che i suoi calcoli erano assolutamente adeguati alla bisogna e perfettamente condotti. I fumi del vino, tra la meraviglia di tutti, non avevano alterato le sue doti professionali.

Vivo è anche il ricordo del rumore della spola di un telaio a mano sempre in funzione in una casetta all’inizio dell’ultima salita che porta al paese alto.



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